Gli assi nella manica. Come creare Empatia con il tuo interlocutore.
Era il 2011 e io ero a Parigi.
Ci rimasi 10 giorni; era giugno e faceva freddo. Ma al cielo di Parigi si perdona tutto, anche la sciarpa d’estate e la pioggia tagliente e un sole poco convinto e tante nuvole.
Perché l’incantamento, che questa città è capace di esercitare, comincia proprio dalla luce, che è solo di Parigi, un chiarore non del tutto limpido, che si posa sulle cose, velandole impercettibilmente, con la reticenza charmant di una donna misteriosa.
In quei giorni feci il pieno d’arte.
D’altronde, che fai? Vai e Parigi e non ti fermi al Louvre o al Centre Pompidou?
In un pomeriggio di pioggia (tagliente, appunto, e copiosa!) decisi per una full immersion al Musée d’Orsay, celebre per i numerosi capolavori dell’impressionismo e del post-impressionismo; una volta entrato, scoprii che ero stato talmente fortunato da esser capitato in occasione di una esposizione temporanea dedicata a Van Gogh (che io adoro!).
Mi muovevo, stordito e ubriaco per tanta bellezza, nei corridoi; avevo perso il senso del tempo.
Da quanto ero lì?
Non lo ricordavo più.
Mi sedetti un momento in un angolo, avevo di fronte a me una serie di tele di Monet e riflettevo sulla forza pervasiva e seduttiva della rarefazione: accidenti, volevi davvero entrare nel quadro e vedere meglio cosa celava quella nebbiolina!
Mentre ero così assorto, senza neanche rendermene conto, avevo voltato la testa a sinistra: il mio sguardo era stato catturato da una donna; aveva i capelli grigi, molto corti, che le lasciavano il viso completamente scoperto.
Se ne stava immobile, davanti al noto «Autoritratto, 1889» di Van Gogh.
Era inchiodata, nessun movimento.
E piangeva silenziosamente.
Occhi negli occhi con Vincent, vedevo le lacrime rigarle il viso.
Ci rimasi secco.
Una persona può identificarsi in un’opera artistica, fino a quel punto?
Sì, evidentemente.
Viene a crearsi una profonda simpatia tra soggetto e oggetto inanimato. In pratica, scatta ciò che accade con altri esseri umani. L’uomo trasferisce il proprio senso vitale nella bellezza delle opere artistiche. L’opera, quindi, non è più mero oggetto, bensì diventa una struttura simile all’uomo, con il quale ci si relaziona. L’opera d’arte prende corpo, carattere e personalità, qualità fondamentali perché si attivi il processo di EMPATIA.
Tempo dopo, l’immagine di quella donna mi è tornata in mente, pensando ai meccanismi che governano le relazioni.
L’empatia, in qualsiasi tipo di relazione è fondamentale.
È la capacità di una persona di immedesimarsi in un’altra, cogliendone stati d’animo e sentimenti. Il soggetto, con l’empatia, coglie valori e pensieri dell’altro, calandosi nei suoi panni. È un atteggiamento cosciente, motivato dalla disponibilità di percepire ciò che l’interlocutore prova, per poi immedesimarsi in esso.
Durante i miei anni di esperienza come consulente, ho dovuto sviluppare al meglio la comunicazione empatica per essere in grado di sintonizzarmi in modo ottimale con gli interessi e i desideri dei miei clienti.
Il processo per creare Empatia all’interno di una qualsiasi relazione può essere istintivo, ma anche no.
Esistono delle chiavi fondamentali perché si possa innescare anche là dove manca quella spontaneità, con cui normalmente si attiva.
È importante predisporsi con un buon atteggiamento mentale, infatti prima di applicare uno di questi «metodi», bisogna fare un lavoro importante su se stessi, così da valorizzare il modo in cui ci si pone nella relazione stessa.
- “Imita” il tuo interlocutore
Osservalo.
Se riuscirai ad “imitare” bene il suo linguaggio del corpo e il suo modo di parlare, il tuo interlocutore riuscirà a riconoscerti a livello inconscio come simile a lui, di conseguenza tenderà a parlarti dei suoi problemi e di cosa si potrebbe fare per risolverli.
- Richiama la concentrazione del tuo interlocutore
Se vuoi dimostrarti empatico, devi parlare poco e ascoltare molto, ma nello stesso tempo devi essere in grado di suscitare il massimo interesse, in modo che il tuo interlocutore si predisponga a condividere con te i suoi sentimenti e le sue preoccupazioni.
- Poni delle domande
Se vuoi creare empatia evita di parlare sempre e solo di te stesso, ma fai domande che lo coinvolgano direttamente. Questo ti consentirà di fargli percepire il tuo interesse nei suoi confronti.
Le domande devono essere in grado di accendere emotivamente il tuo interlocutore. Se riuscirai a farlo sentire una persona interessante, tenderà ad «aprirsi» e a voler collaborare con te.
Un buon modo per sviluppare l’empatia è quello di adottare un mix di tecniche verbali e non verbali, che ci portino a «trasferisci» nei panni dell’altro.
Qual è il meccanismo che lo rende possibile nel nostro cervello? Tutto punta verso i neuroni specchio e la loro connessione con diverse aree cerebrali. I neuroni specchio hanno anche a che vedere con l’interpretazione che diamo alle azioni. Non solo possono aiutarci a interiorizzare e ripetere un’azione che abbiamo appena visto, ma grazie ad essi possiamo anche capirla e darle un senso, capire perché gli altri agiscono in un determinato modo e se hanno bisogno del nostro aiuto.
Insomma, per dirla con Walt Whitman, e ripensando al dialogo muto tra la donna dai capelli grigi e Van Gogh in quel magico pomeriggio francese, «Io non chiedo al ferito come si senta, io divento il ferito.»
È questo il segreto.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Fornisci il tuo contributo!